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mercoledì 25 luglio 2018

IL KILLER DELLO ZODIACO

Luglio 25, 2018   Maria Rosaria Cofano

Riuscire a stanare un Killer talmente furbo da non lasciare in giro tracce di sé, diventa un’impresa attuabile solo da pochi. Nel margine delle supposizioni assimilabili sono rimaste imbrigliate solo suggestioni e analogie indigeste, perché Zodiac è stato e rimarrà un cruento mistero. L’inacciuffabile, l’indecifrabile, capace di beffare enigmisti della domenica e cervelli sopraffini. Un genio con una crudeltà senza limiti, che ha travalicato la storia, quella più spietata e nera, di cui non vorremmo mai leggere, figuriamoci trovare sulla nostra strada. Un mostro che si è sentito invincibile e che si è reso immortale con la paura, quella paura che non ha mai provato. E allora che cosa c’entrava un killer scientifico di questo genere con i laidi scapestrati compagni di merende del caso denominato “il Mostro di Firenze”? Sia Zodiac che il Mostro di Firenze avevano come metodo di uccisione l’arma da fuoco e l’accoltellamento. Zodiac era veloce, pianificava tutto, avendo anche il tempo di fuggire, beffando l’arrivo della polizia. Aveva instaurato un sorta di rapporto epistolare con alcuni quotidiani dell’epoca, mentre il Mostro di Firenze non aveva questo bisogno impellente, se non per aver scritto una sola volta, quando, Martedi 10 settembre 1985, alla procura fiorentina arrivò una lettera contenente un lembo di pelle incellophanata e indirizzata all’ex sostituto-procuratore Silvia Della Monica. C’era una componente sadica che non aveva contraddistinto i crimini di Zodiac. Il Mostro di Firenze rimaneva più a lungo con le vittime, infierendo con mutilazioni sessuali. C’è da dire che uno schema criminale possa anche evolvere. 

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martedì 4 luglio 2017

Progenie degenere... un desiderio consumato nel male.

Una clinica in fiamme. Due ragazzi si allontanano nella notte, paradossalmente senza fretta, ad attenderli una sporca libertà e l'intenzione di un desiderio consumato nel male. Indossano la stessa e pesante camicia verde oliva, dotata di una cintola elastica, che penzola lungo la schiena senza frenare l’istinto, i passi verso il tramonto e oltre l’inferno della ragione. A guardarli sono così simili. Entrambi con la testa rasata. La statura media di Ela è pressappoco quella di Samuel, neanche lo dissocia per ossuta corporatura, lentezza, tantomeno distinzione sessuale; ma sono di spalle, una sorta di specchietto per le allodole, perché ad invertire il punto di vista bisogna armarsi di coraggio. Tutto cambia irreparabilmente e non riferito alla mera constatazione del brutto - assolutamente opinabile, soggettivo - quanto alla percezione di un sinistro presentimento che danno. Lei, adolescente disturbata, dalla gestualità infantile, silenziosa e apparentemente indifesa. Ha grandi occhi neri e sguardo livido di una sensazione impronunciabile. I tratti spigolosi e il naso irregolare si addolciscono lungo la bocca carnosa, da cui inizia una lunga cicatrice, che supera il mento fino a perdersi dietro l’orecchio destro, a formare l’incompleto segno dell’infinito: la lettera “S”. Per Samuel non deturpa, non vìola la bella pelle dell’unica creatura capace di rendere desiderio raggiungibile la debolezza, il calore che rifugge come madrileno affetto da albinismo, che, nell’anomalo candore, inquieta con occhi che sembrano cangiarsi all’improvviso, scrutare e destabilizzare per una malevola gioventù. Come qualcosa di puro e oltraggiato allo stesso tempo, che i lineamenti regolari descrivono tra banalità e disturbo incontrollabile che ha, che dà di un’identità amorfa e per questo duttile, nel conformarsi mutevole alla sostanza del dolore inferto senza coscienza e che il bianco veste di indifesa paura. Un etereo letale di ventiquattro anni, mentre Ela ne ha solo quattordici.
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