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domenica 22 luglio 2018

UNA MOTIVAZIONE SENZA L'ALIBI DELLA SCRITTURA

Luglio 22, 2018   Maria Rosaria Cofano
 
… quando ho iniziato a scrivere "PROGENIE DEGENERE", ero ancora su un altro romanzo (che poi ho pubblicato con la Bastogi, dal titolo "NORA DAREN – il Corpo, il suo Supplizio"), e l’ho vissuto, subìto, come una sorta di flaschback; dunque la brevità frammentata del racconto e l’incognita del senso. Ho sempre avuto una predilezione per i racconti atemporali, di quelli capaci di raccontare più l’emozione di uno spazio. La mia scrittura non è indubbiamente facile. Amo scrivere e lo faccio quasi in maniera animalesca. Non ho paura della verità, tantomeno di raccontarla. Sono cresciuta con letture di autori datati e direi quasi per niente contemporanei, per poi smettere di leggere, quando la scrittura dentro di me premeva, affinché le dessi forma. Mi rendo conto che tutto non possa piacerci completamente e preferisco quello che non mi piace, quanto sia diverso da me e paradossalmente nella scrittura trovarlo affine.

martedì 4 luglio 2017

Progenie degenere... un desiderio consumato nel male.

Una clinica in fiamme. Due ragazzi si allontanano nella notte, paradossalmente senza fretta, ad attenderli una sporca libertà e l'intenzione di un desiderio consumato nel male. Indossano la stessa e pesante camicia verde oliva, dotata di una cintola elastica, che penzola lungo la schiena senza frenare l’istinto, i passi verso il tramonto e oltre l’inferno della ragione. A guardarli sono così simili. Entrambi con la testa rasata. La statura media di Ela è pressappoco quella di Samuel, neanche lo dissocia per ossuta corporatura, lentezza, tantomeno distinzione sessuale; ma sono di spalle, una sorta di specchietto per le allodole, perché ad invertire il punto di vista bisogna armarsi di coraggio. Tutto cambia irreparabilmente e non riferito alla mera constatazione del brutto - assolutamente opinabile, soggettivo - quanto alla percezione di un sinistro presentimento che danno. Lei, adolescente disturbata, dalla gestualità infantile, silenziosa e apparentemente indifesa. Ha grandi occhi neri e sguardo livido di una sensazione impronunciabile. I tratti spigolosi e il naso irregolare si addolciscono lungo la bocca carnosa, da cui inizia una lunga cicatrice, che supera il mento fino a perdersi dietro l’orecchio destro, a formare l’incompleto segno dell’infinito: la lettera “S”. Per Samuel non deturpa, non vìola la bella pelle dell’unica creatura capace di rendere desiderio raggiungibile la debolezza, il calore che rifugge come madrileno affetto da albinismo, che, nell’anomalo candore, inquieta con occhi che sembrano cangiarsi all’improvviso, scrutare e destabilizzare per una malevola gioventù. Come qualcosa di puro e oltraggiato allo stesso tempo, che i lineamenti regolari descrivono tra banalità e disturbo incontrollabile che ha, che dà di un’identità amorfa e per questo duttile, nel conformarsi mutevole alla sostanza del dolore inferto senza coscienza e che il bianco veste di indifesa paura. Un etereo letale di ventiquattro anni, mentre Ela ne ha solo quattordici.
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