sabato 26 gennaio 2019

Evelyn McHale, uno scatto l’ha resa immortale.

Gennaio 26, 2019   Maria Rosaria Cofano 
Evelyn McHale
Foto di Robert Wiles
Parafrasando il film "La morte ti fa bella" dell’eclettico Robert Zemeckis, mi torna in mente Evelyn McHale, che però non si avvalse della chirurgia plastica per ambire allo spauracchio di una artificiosa, patetica e immortale bellezza. Non si sa molto di questa giovane donna, morta suicida il 1 Maggio 1947, gettandosi dal ponte di osservazione all'86 ° piano dell'Empire State Building. Era nata il 20 settembre 1923 a Berkeley, in California, ed era una dei nove figli di Helen e Vincent McHale. Con il padre, banchiere, si trasferirono a Washington DC nel 1930. La madre soffriva di  depressione, mai diagnosticata né curata. Il matrimonio non riuscì a superare i difficili momenti incorsi a causa della salute mentale della madre e quindi si arrivò ad un sofferto divorzio. Al padre vennero affidati i figli e tutti si trasferirono a Tuckahoe, New York. Frequentò il Liceo e dopo il diploma entro a far parte dell’Esercito femminile  (Women's Army Corps) di stanza a Jefferson City, nel Missouri.

Quando si trasferì a Baldwin, New York, dove viveva con suo fratello e la cognata, iniziò a lavorare come contabile negli studi del Kitab Engraving Company di Pearl Street. Proprio in questo periodo conobbe il suo fidanzato, Barry Rhodes, uno studente universitario, appena dimesso dall'Air Force (Aeronautica militare degli Stati Uniti). Lei fu una delle damigelle d’onore alle nozze del fratello di Rhodes. Anche loro avrebbero dovuto sposarsi, e nulla lasciava presagire il gesto estremo attuato dalla ragazza. Era il 30 aprile 1947, quando arrivò ad Easton dopo aver preso il treno a New York, per festeggiare il 24esimo compleanno del suo ragazzo e  futuro marito. Per Barry era serena, come era forte il sentimento a legarli. L’aveva baciata prima di vederla salire sul treno delle 7:00 alla Penn Station, che l’avrebbe ricondotta a New York. Il 1 ° maggio 1947, intorno alle 10:40 una leggerissima sciarpa lentamente scendeva dai piani superiori di un edificio dell'Empire State Building. Una folla accorse sulla 34a strada. Il corpo di una giovane donna era atterrato su una Cadillac dell'Assemblea delle Nazioni Unite parcheggiata. Robert C. Wiles, era un giovane studente di fotografia; si trovava di passaggio, perché il vociare della calca attirò la sua attenzione. Si fece largo tra la folla e la vide. Con il suo obiettivo fotografico immortalò quello che cinicamente passò alla storia come lo scatto del  “più bel suicidio”. Il corpo di una donna si era appena schiantato sul tetto della Cadillac, da un’altezza di almeno 320 m. Era Evelyn McHale. Il metallo si era infossato, accartocciato, ma come per accoglierla senza deturpare le sue fattezze. Intatta, tanto da sembrare addormentata. A distanza di molti anni, l’inquietudine mista a fascinazione di quella immagine, ha reso questo scatto una delle più importanti documentazioni fotogiornalistiche di tutti i tempi. Ma che cosa aveva mai portato questa giovane donna a compiere un tale gesto?Adagiato sul muro del ponte di osservazione trovarono il suo cappotto, piegato con cura e il portafoglio. Dentro, una nota, il suo biglietto d’addio.

“I don't want anyone in or out of my family to see any part of me. Could you destroy my body by cremation? I beg of you and my family – don't have any service for me or remembrance for me. My fiance asked me to marry him in June. I don't think I would make a good wife for anybody. He is much better off without me. Tell my father, I have too many of my mother's tendencies.”

"Non voglio che qualcuno dentro o fuori dalla mia famiglia veda una parte di me. Potresti distruggere il mio corpo con la cremazione? Prego te e la mia famiglia - non ho alcun servizio per me o un ricordo per me. Il mio fidanzato mi ha chiesto di sposarlo a giugno. Non penso che farei una buona moglie per nessuno. Sta molto meglio senza di me. Dillo a mio padre, ho troppe tendenze di mia madre ".

La parte buia della sua anima l’aveva sopraffatta. Riconosceva in sé lo stesso male di vivere della madre. Per sua stessa richiesta venne cremata, dopo l’identificazione da parte della sorella. Il suo fidanzato e futuro marito, divenne un ingegnere, morto a Melbourne, in Florida, il 9 ottobre 2007; non si è mai sposato. 
Quíng Quảng Đức, che l'11 giugno 1963
Malcolm Browne (1964)
Quanto il voyeurismo necrofilo abbia la capacità di generare attenzione e immaginazione, non fa eccezione anche in questo caso. Dalla fotografia al cinema, passando per la musica, il passo è breve. L’arte in generale, che sia purista o sensazionalista, ama il racconto fino all'estremo. Senza soffermarmi sulle analogie e divergenze del fare arte, mi limiterò a rendere il lettore partecipe solo di notizie, che mi hanno colpita come colpirono quanti, tra passanti diretti o osservatori postumi, si siano interessati all’evento, in questo caso un suicidio passato alla storia, divenuto immortale grazie alla fotografia, nonostante l’assoluto anonimato del soggetto. Qui i paragoni si sprecano, in quanto molti sono concordi con l’affermare che proprio questo scatto sia ampiamente paragonabile ad un altro, il cui gesto suscitò una forte comunicazione emozionale, capace di scomodare anche Presidenti in carica - e mi riferisco a John F. Kennedy - lo scatto dell’iconico suicidio è quello di un monaco, Quíng Quảng Đức, che l'11 giugno 1963 si diede fuoco in una strada molto trafficata di Saigon, come atto di protesta contro la persecuzione dei monaci buddisti, messa in atto dal governo vietnamita del sud, all’epoca guidato da Ngo Dinh Diem.   Qualcuno di voi, fra quelli più attivi e attenti in campo fotografico, ricorderanno l’autore: Malcolm Browne, che per questa fotografia vinse anche il premio Pulitzer.

Nel 1962 il grande Andy Warhol si avvalse di questo scatto per la realizzazione di una sua opera: Suicide (Fallen Body)...
... e la musica non fu da meno. I Saccharine Trust la utilizzarono come copertina di un loro album Surviving You, Always (1984),  
mentre nel 1983 chiarissimo è il riferimento ad Evelyn McHale dell’immenso David Bowie nel video di Jump They Say
Nel 1995 i Machines of Loving Grace ricostruiranno l’immagine iconica del suicidio per la copertina dell’album Gilt
Taylor Swift citerà anche lo scatto nel video di "Bad Blood". Seguono alcuni link che potrebbero interessarti e dai quali ho tratto notizie, curiosità e ispirazione. Grazie per essere passato/a.

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