Elizabeth Ann Short - La Dalia Nera (prima parte)


Luglio 20, 2018   Maria Rosaria Cofano

Elizabeth Ann Short, meglio conosciuta come La Dalia Nera, è la vittima di un caso di omicidio tra i più efferati, cruenti, misteriosi di tutta la storia del crimine, rimasto  irrisolto e avvenuto negli Stati Uniti d'America. Solo il suo nome a tanti non direbbe niente, mentre il suo altergo ha dato vita ad un copioso contributo narrativo, morbosamente saturo degli eventi che l'hanno portata fino all'attuazione del delitto irrisolvibile. Avvenuto per mano di chi? Tra presunti conoscenti, amanti, illazioni, deduzioni approssimative, mitomani, polizia corrotta, insabbiamenti, la competizione sfrenata dell'industria cinematografica tra sesso e potere, velleità artistiche disilluse, segreti inconfessabili dell'alta società... Lei era un'avvenente, giovane e bella ragazza, dai capelli bruni e occhi chiari. Nacque a Hyde Park, un quartiere della città di Boston che lasciò quando era una bambina, per trasferirsi a Medford (Massachusetts) insieme alla madre e alle sorelle dopo l’abbandono del padre. Soffriva di asma. I suoi amici la chiamavano Betty, ma lei preferiva essere chiamata Beth. Studiare non le piaceva, così iniziò a lavorare come cameriera. All’età di 19 anni lasciò la casa materna per andare ad abitare con il padre in California, e poi si trasferirono a Los Angeles. Anche con lui non andava d’accordo e dopo l’ennesimo litigio, Elizabeth lascio la casa paterna e trovò lavoro a Camp Cooke, in California, in un ufficio postale. Si trasferirà a Santa Barbara dove nel 1943 verrà fermata da polizia e arrestata per ebbrezza. Per la legge del tempo era ancora minorenne e le autorità la riportarono a casa della madre, a Medford. Trovò lavoro presso l’Università di Harvard, ma poi si trasferì in Florida. L’incontro con il maggiore dell'Aeronautica statunitense Matthew M. Gordon Jr sarebbe convolato a nozze, ma Gordon morì il 10 agosto 1945 in un incidente aereo. Lasciò la Florida, torno in California dove rivide Gordon Fickling, un suo ex, luogotenente di stanza a Long Beach. Qui, per la prima volta, le fu dato il soprannome di Dalia Nera, per la sua passione per il film La dalia azzurra e per gli abiti neri che amava indossare. Un anno dopo, nel 1946, si trasferì da Hollywood con le solite velleità cinematografiche, per poi ritrovarsi su set di film pornografici, illegali negli USA. Era ancora viva il 9 gennaio 1947 nel salone del Biltmore Hotel di Los Angeles e alcuni affermarono che fosse in compagnia di un uomo. Il 15 gennaio del 1947, intorno alle 10 del mattino, in un quartiere meridionale di Los Angeles, il Leimert Park, c’era un terreno non edificato sul lato ovest del South Norton Avenue, tra Coliseum Street e la West 39th Street, lì venne ritrovato il corpo di Elizabeth. Una signora di nome Betty Bersinger era a spasso con il suo cane e di primo acchito pensava trattarsi di un manichino, ma poi realizzò che fosse il corpo di una donna, mutilata orribilmente. Il corpo si presentata nudo e diviso in due parti, dalla vita in giù. Era stata torturata e le avevano tinto di rosso i capelli. In volto aveva un profondo taglio che partiva da un orecchio per finire all’altro, secondo una mutilazione denominata Glasgow smile. Non c’erano tracce di sangue. Era stata accuratamente lavata, dunque quella non era la scena primaria del crimine. Numerose furono le indagini condotte dalla Polizia di Los Angeles ma anche altri dipartimenti, agenti, investigatori si interessarono a questo crimine efferato, che ancora non ha trovato risoluzione. Tanti sospettati (almeno 22 quelli considerati fattibili), tanti interrogatori. Grandissima risonanza, vuoi da parte dell’opinione pubblica che dalla stampa. C’è da dire che le indagini furono svolte in maniera approssimativa: non furono rilevate impronte di scarpe e neanche le impronte dei pneumatici della macchina che arrivò in quel posto per disfarsi del corpo. La comparazione di questi con i pneumatici dei sospettati avrebbe potuto chiudere il cerchio, invece si assistette alla solita trafila di accusati e mitomani; ce ne furono almeno 60, con la volontà di addossarsene la responsabilità e soprattutto di sesso maschile. Ecco alcuni nomi. L'ultima persona ad aver visto Elizabeth, quando era ancora in vita, fu Robert M. Manley che tanti chiamavano Red. Subito in cima alla lista dei sospettati, ma il suo alibi lo scagionò. Poi fu la volta di Walter Alonzo Bayley, un chirurgo di Los Angeles, impelagato in un giro di aborti clandestini, che coinvolgeva nomi molto conosciuti della Hollywood del tempo. E’ stato anche vicino di casa di Elizabeth e padre di una delle più care amiche di Virginia, sorella della Short. Basta tutto questo per ritenere un uomo colpevole di un esecrabile omicidio? No, anche se l’ex moglie sosterrà che questi nascondesse segreti inconfessabili, messi in atto con la complicità di un’amante e dopo la sua morte, l’autopsia rivelerà che fosse affetto da una malattia cerebrale degenerativa. Altro sospettato Joseph A. Dumais. Un soldato di 29 anni, che da subito si autoaccusò del delitto. Poi si scoprirà che fosse presente nella sua base di appartenenza nel New Jersey, quando la ragazza venne uccisa. Successivamente commise altri reati e continuando sempre a sostenere di aver ucciso la Short fino agli anni ’50. Poteva mancare un cantante folk nella lista? No. Woody Guthrie, accusato di molestie sessuali ai danni di una ragazza californiana e per questo venne collegato al delitto, anche se la mancanza di prove rese il tutto ancora vano. Lo stesso subì un processato per molestie. George Hodel un medico statunitense e membro dell'alta società di Los Angeles. La polizia iniziò ad investigare sul suo conto tra il 1949 e il 1950, quando una delle sue figlie, Tamara, lo accusò di molestie. E’ quanto mai evidente che i tanti entrati nel registro degli indagati per l’omicidio della Short, avessero coinvolgimenti diretti in reati a sfondo sessuale o denunce in atto da parte di donne direttamente interessate.

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