IL KILLER DEL ROSSETTO (The Lipstick Killer) - seconda parte


Agosto 19, 2018   Maria Rosaria Cofano

Sempre secondo l’esame autoptico, Susanne Degnan era morta tra le 00:30 e l’1:00 del mattino. I tagli, eseguiti con un coltello molto affilato, erano precisi e rivelavano una certa esperienza chirurgica e anatomica, dunque l’assassino poteva essere un dottore, ma anche una persona che lavorasse la carne, quindi pratico di dissezioni, come poteva essere un macellaio esperto. Ma era davvero possibile che nessuno avesse visto niente? Tanti vennero ascoltati, ma tutti con un alibi possibile; altri ancora sottoposti all’esame poligrafico, ma niente. Tutte le prove non erano sufficienti per incastrare il killer, ammesso che fosse un uomo. Tra i testimoni, soprattutto quelli residenti nel condominio della famiglia Degnan, alcuni affermarono di aver visto una donna con abiti maschili molestare i bambini, ferendone addirittura uno al volto con le unghie. Altri di aver udito intorno alle 00:50, la notte del rapimento, alcune voci maschili lungo le scale e quindi i cani abbaiare. George Subgrunski, intorno all'1:00 vide un uomo avvicinarsi all’appartamento dei Degnas. Aveva una borsa in mano. Era alto circa un 1,70 cm, e poteva avere intorno ai 35 anni. Indossava un cappello e un cappotto scuro. Un tassista, Robert Reisner, affermò di aver visto intorno all'1:30 una donna trasportare qualcosa sotto entrambe le braccia, proprio vicino all’appartamento dei Degnan, per poi salire in un auto guidata da un uomo con i capelli grigi. Dall’altra parte della strada, una donna, la signorina Crawford, vide una macchina con dentro un uomo e una donna, alle 2:30, passare più volte intorno all’isolato. Jake DeRosa e Marion Klein, alle 3:00, dalla finestra videro un uomo, sempre con cappotto scuro e cappello. Tentava di entrare nella lavanderia, che si trovava nell’internato. Anche un’altra donna che invece abitava nell’appartamento sopra la lavanderia, Freida Meyer, affermò di aver visto, intorno alle 3:40 del mattino, un uomo entrare ed uscire dalla lavanderia. Alcuni concordi nel sostenere di aver visto un uomo, altri una donna e c’era anche la possibilità che fossero in coppia. A fronte di tale descrizione, seppur sommaria, la fretta di trovare un colpevole portò ad un arresto, ovvero il portiere del condominio dei Degnan, Hector Verbourgh. L’uomo aveva 65 anni e fisicamente non corrispondeva alla descrizione fatta dai testimoni. La polizia decise di fermarlo, perché fosse un assiduo frequentatore della lavanderia e riscontarono anche una presunta similitudine tra la sua grafia e quella dell’assassino. Ci fu anche un atteggiamento pressante da parte della polizia nei confronti della moglie Verbourgh, con l’intento di collegare il marito all’omicidio, che venne trattenuto per 48 ore e sottoposto ad un duro interrogatorio, che gli procurò una lussazione alla spalla. Continuò a dichiararsi innocente e rilasciato fu ricoverato in ospedale con una prognosi di dieci giorni. Intentò una causa contro il dipartimento di polizia Chicago, che vinse e sia lui che la moglie vennero risarciti dei danni subiti: 20000 dollari di cui 5000 alla moglie. Nei pressi della residenza dei Degnan, durante le indagini, vennero ritrovati dei capelli biondi e un filo metallico, probabilmente utilizzato dal killer per strangolare la vittima ma anche un fazzoletto con un nome ricamato. Questo poteva essere un passo falso dell’assassino e portò un altro nome nella lista dei sospetti, un ex militare della seconda guerra mondiale: Sidney Sherman. In effetti Sherman risultava residente ad Hyde Park, anche se da tempo mancasse dall’abitazione e dal lavoro; si era trasferito a Toledo. Venne sottoposto alla macchina della verità (test del poligrafo) che superò. Non si trovava a Chicago quando la bambina venne uccisa, dunque cadde anche la pista del fazzoletto, considerata una mera casualità. Poi fu la volta di una confessione spontanea, quella di Richard Russell Thomas, un infermiere, che da Chicago si era trasferito in Arizona, per la precisione a  Phoenix. Già si trovava in carcere per aver molestato una delle sue figlie. In quanto infermiere, e considerata anche la sua calligrafia, potevano esserci dei presupposti tali da ritenere la sua confessione attendibile, ma c’erano tanti altri elementi che non portavano tali caratteristiche ad avere la forza di essere prove inconfutabili della sua colpevolezza. La conclusione fu che l’uomo lo avesse inventato per essere trasferito in un altro carcere; in quello dove si trovava evidentemente gli rendevano la vita difficile. Le indagini non evolvevano in modo significativo e fino a quel punto furono condotte anche con aggressiva approssimazione; il tutto sottolineato dalla stampa, mentre la gente continuava a tremare pensando al killer, libero di agire ancora indisturbato. Si arriva così al 26 giugno 1946, giorno dell’arresto di William Heirens, all’epoca diciassettenne. Fu arrestato per violazione di domicilio e tentato furto, dopo la segnalazione di un testimone. Tentò la fuga, ma venne bloccato per strada dal portinaio del condominio. Heirens gli puntò la pistola e disse: “Lasciami andare, oppure avrai un proiettile nelle budella!", questo dissuase il portinaio e Heirens si nascose in un edificio adiacente, dove qualcuno lo vide e venne segnalato alla polizia, che procedette all’arresto. Prima dell’arresto effettivo, durante l’inseguimento ci fu, secondo alcuni testimoni, il tentativo di fuga di Heirens, che puntò una pistola contro un agente, sparando, ma dalla pistola non uscì alcun proiettile. A quel punto un altro poliziotto, che tra l’altro non era in servizio, lo colpì alla testa con un vaso e quindi perse conoscenza. Fu trasportato all'Ospedale Bridewell, poi trasportato al distretto per l’interrogatorio. Subito gli chiesero della bambina. Sembrava opinione diffusa che Heirens dovesse essere inequivocabilmente colpevole degli omicidi. Venne aggredito fisicamente e colpito nelle parti intime. L’interrogatorio andò avanti per diversi giorni, secondo Heirens almeno 6, in cui non gli permisero di bere, mangiare, incontrare i suoi genitori e chiedere un legale. Gli venne somministrato un barbiturico, il tiopental sodico, più conosciuto con il nome di Pentothal, usato, a dosaggi subanestetici, come siero della verità. Sotto l’effetto dello psicofarmaco, dichiarò di essere affetto da una sindrome bipolare e che il suo alter ego si chiamasse "George Murman", come il suo secondo nome e come il primo nome del padre. Al suo alter ego addossava la responsabilità degli omicidi. Lo aveva incontrato la prima volta all’età di tredici anni e lui gli aveva confessato i propri segreti, insegnato a rubare e uccidere. La polizia indagò anche nella famiglia di Heirens, pensando che questo “George” potesse essere una persona reale, ma non scoprì nulla. Secondo gli psicologi, Heirens creò questo pericoloso amico immaginario, dotato di una personalità autonoma ed aggressiva, per tenerla separata da quella più equilibrata. Un conflitto tra realtà e immaginazione, che i genitori avrebbero dovuto capire in tempo, quando era solo un bambino, aiutandolo a ristabilire la verità. L’introversione, l’incapacità di socializzare e la creazione di un altro te, un amico che solo tu puoi vedere e che non ti tradirà mai, fino ad addossarsi la responsabilità della tua colpa. Delle volte mi chiedo se basti una sana educazione a fermare un futuro serial killer. Le autorità arrivarono anche a pensare che  Heirens avesse addotto la tesi del bipolarismo per appellarsi all’infermità mentale. La trascrizione originale di questa confessione andò perduta, sollevando molti dubbi e incertezze in merito al modo in cui gli fu estorta. Gli venne praticata una iniezione lombare senza anestesia e quindi sottoposto al test poligrafico. Era indubbiamente troppo debole per poterlo affrontare, dunque si decise per il rinvio; quando poi fu ritenuto idoneo per il test, questi si rivelò inefficace. Secondo il dottor Grinker, Heirens non era colpevole (1952). Perché la polizia era così sicura che proprio lui fosse il Killer del rossetto? Durante una perquisizione nel dormitorio del College dove Heirens risiedeva, fu trovato un libro con fotografie di ufficiali nazisti; il libro apparteneva ad un veterano di nome  Harry Gold, ed Heirens lo aveva rubato quando entrò nel domicilio dell’uomo, proprio la notte in cui Susanne venne uccisa. Quindi decise di graziare l’uomo e uccidere la bambina? La casa di Harry Gold era vicina a quella dei Degnan, e questo non fece altro che aumentare il sospetto su Heirens. Sempre tra i suoi effetti personali, fu trovato un altro libro, Psychopathia Sexualis, un saggio sulle deviazioni sessuali scritto dal dottor Richard von Krafft-Ebing e anche un kit di pronto soccorso, ma gli attrezzi che conteneva erano inadatti per la dissezione e non recavano tracce di ematiche. Chi aveva eseguito la dissezione di Susanne era appunto una persona esperta in questo senso, come appunto poteva essere un medico o un macellaio. Heirens dove avrebbe mai potuto acquisire questa esperienza? Oltre ai libri trovarono anche una pistola, che secondo l’esame balistico sparò un colpo. Si risalì al proprietario dell’arma, ovvero Guy Rodrick, a cui venne rubata il 3 dicembre del 1945. Con quella stessa pistola, due notti dopo il furto, un colpo attraversò la finestra di un appartamento, ferendo la proprietaria di nome Marion Caldwell. Ma allora quali furono le prove inconfutabili della sua colpevolezza? 

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