domenica 14 ottobre 2018

Ora Murray e l'omicidio Gardenia.

Ottobre 14, 2018   Maria Rosaria Cofano

Sembra quasi un imperativo categorico che se a scoprire un cadavere non sia un uomo, ci arrivi a mettere la zampa un cane. E del resto chi altri potrebbe farlo?! Il 27 luglio 1943, in un campo da golf di Fox Hills di Los Angeles, venne ritrovato il corpo di una donna. A fare la macabra scoperta, fu appunto il cane del giardiniere, che accorse dopo averlo sentito abbaiare insistentemente. Subito venne chiamato il Dipartimento dello sceriffo, e non passò molto tempo per l’identificazione della donna, il cui nome era Ora Murray. Il corpo della donna aveva subito mutilazioni; successivamente l’esame autoptico rivelò una commozione cerebrale e che la morte fosse sopraggiunta per strangolamento. I vestiti si presentavano strappati e ridotti quasi a brandelli. La posizione del corpo era riversa e nella parte sottostante, schiacciato dal peso, c'era un corpetto con una Gardenia, che era parte di una decorazione. Questo caso, come quello de La Dalia Nera, prese il nome proprio da un fiore: l'omicidio Gardenia (The Gardenia Murder). Secondo le indagini avviate dalla polizia, la donna era ancora viva intorno alle 23:00, in compagnia di un uomo di nome Paul. Questo era stato confermato anche dalla sorella della vittima, che affermò di trovarsi in un locale da ballo proprio in sua compagnia e dell’uomo di nome Paul, a cui chiese di fermarsi, affinché al gruppo potesse aggiungersi anche il marito; ma il marito si mostrò poco disposto ad unirsi a loro, e così Ora uscì da sola con l’uomo conosciuto al ballo. Quando le chiesero la descrizione dell’uomo, la sorella lo descrisse come un uomo alto, bruno, con indosso un abito oscuro e la sua macchina era una coupé Buick del 1942. Come in qualsiasi caso di omicidio, le telefonate anonime ma anche le false segnalazioni, vanno a frapporsi a quelle più attendibili, come quella telefonata che il Dipartimento dello Sceriffo di Los Angeles ricevette da parte di una donna, la signorina Jeannette J. Walser, che sosteneva di conoscere l’uomo misterioso visto con Ora. La telefonata arrivò circa una settimana dopo la scoperta del cadavere della donna, e la Walser era presumibilmente un’amante risentita dell’uomo misterioso che sosteneva essere l’uomo visto con la vittima, il cui nome era Grant Wyatt Terry. Raccontò di averlo incontrato la prima volta in un locale. Le disse di essere un avvocato federale e di lavorare per l’esercito. Gli prestò anche la sua macchina, che poi si scoprì coincidere con quella guidata dall’uomo di nome Paul. Così iniziò a corteggiarla per poi chiederle di sposarlo, ma poco prima del loro matrimonio, Terry la abbandonò portando con sé un anello di diamanti e svariati contati. La donna era stata truffata, dunque il forte risentimento. Quando poi venne mostrata la fotografia di Grant Wyatt Terry alla sorella di Ora, lei lo riconobbe come il “Paul” conosciuto nel locale in compagnia della sorella. Ammesso che fosse un truffatore, poteva mai essere capace di ridurre una donna in quello stato? Una cosa non implica necessariamente l’altra, ma potrebbe essere assolutamente possibile per un truffatore-assassino privo di coscienza e per giunta sadico. L’assoluta mancanza di rimorso gli ha permesso di rimanere un caso irrisolto e l’incompetenza di chi fosse preposto alla risoluzione del caso, avvalorato da limitazioni tecniche, gli ha dato spazio e forza per l’attuazione. William Murray, il marito di Ora, era un militare, residente nell'esercito del Mississippi; quando seppe dell’accaduto, subito richiese un permesso per recarsi a Los Angeles, per occuparsi del funerale della moglie. Anche lui era ansioso di conoscere chi ci fosse dietro l’omicidio di Ora.

In un giorno non precisato di marzo del 1944, l’FBI riuscì a stanare il famigerato “Paul”. Venne fermato a New York e il suo vero nome non era Terry, come sostenuto da Jeannette J. Walser, ma Roger Lewis Gardner, ed in quel periodo era considerato come uno dei criminali più pericolosi in circolazione. Si era avvalso di numerosi pseudonimi, e spacciandosi per un rispettabile e impegnato federale, aveva raggirato molte donne, sposandole senza mai divorziare. Acclarato che fosse un imbroglione e partendo dal presupposto che delle donne coinvolte nelle sue truffe, solo Ora fosse stata trovata morta, si poteva giungere alla possibile - ma da accertare - conseguenza che la vittima, quel dannato giorno, avesse incontrato un truffatore ma probabilmente anche un sadico omicida, e quindi c’era solo da avvalorare se entrambi fossero la stessa persona. Riportato a Los Angeles per i dovuti accertamenti, si ritrovò ad affrontare il processo che lo vide coinvolto con l’accusa di omicidio. Durante il processo, Latona - la sorella di Ora – indossò una Gardenia bianca, ricordando quella stessa Gardenia ritrovata sotto il corpo di Ora. Durante la sua deposizione, affermò di aver avvertito una sensazione negativa, quando l’uomo di nome Paul continuò la serata solo con la sorella, allontanandosi con la sua auto, di cui avrebbe voluto prendere la targa e prima ancora chiedergli elementi più precisi sulla sua identità. Sentiva di non doversi fidare di quello sconosciuto e quello sconosciuto avvertì il suo disappunto, chiedendole il “perché?” di quella sensazione di sfiducia. Senza curarsi del malessere della sorella, Ora si allontanò con lui, sola e con quella maledetta fiducia, col senno di poi, mal riposta. La tattica di difesa attuata dall’avvocato di Gardner, ruotava tutta intorno al famigerato “Paul”, l’uomo conosciuto da Ora in un locale e con il quale si allontanò in macchina, affermando semplicemente che non fossero la stessa persona. I dubbi sollevati da questa possibilità, e la mancanza di prove schiaccianti,  portarono la giuria a non raggiungere un verdetto di colpevolezza, limitandosi solo all’accusa di falsa identità, da scontare con tre anni di reclusione Il caso di Ora Murray, come quello di tante altre donne uccise barbaramente negli anni ’40, rimase irrisolto. Alcuni nomi: Estelle Evelyn Carey (1909 Chicago - 2 febbraio 1943 Chicago), Georgette Bauerdorf (May 6, 1924 – October 12, 1944), ElizabethAnn Short (Boston, 29 luglio 1924 – Los Angeles, 15 gennaio 1947). L’accanimento spregevole, esecrabile attuato sui corpi di queste ed altre donne, condurrebbe a pratiche mediche di dissezione, ma anche potrebbero coinvolgere persone preposte alla macellazione di carni; se per la Short le piste furono molteplici, per la Bauerdorf probabilmente si trattava di uno spasimante respinto, ma l’attenzione per il suo omicidio venne subito soffocata dal clamore sollevato dall’omicidio de La Dalia Nera. Anche per Estelle Evelyn Carey c’erano diverse piste, ma bene o male tutte riconducibili all’organizzazione “Chicago Outfit”, ed in cima alla lista un gangster di Chicago, Marshall Caifano (pseudonimo di John Marshall), noto all’ambiente per l’uso della fiamma ossidrica nei suoi omicidi. Non elencherò nei dettagli quanto abbia potuto raccogliere in termini di notizie relative a questi omicidi, che di certo potrai approfondire nel mio Blog in qualsiasi momento. Devo però fare una precisazione. In uno dei miei ultimi Dossier, nella fattispecie quelli relativi alla rubrica denominata “Serial Killer”, in base al modus operandi, ovvero adescamento, omicidio, tortura, mutilazione… mi sono chiesta se questa pratica potesse essere riconducibile ad un nome: Otto Stephen Wilson. Assolutamente non responsabile di tutti gli omicidi citati, visto il lasso temporale in cui agì e quindi venne fermato per l’arresto. Qui trovi il suo approfondimento.

sabato 8 settembre 2018

Gertrude Evelyn Landon: crimine e sospetti.

Gertrude Evelyn Landon
Settembre 8, 2018   Maria Rosaria Cofano

Che cosa passa nella testa di un assassino prima di uccidere? Un quesito che di certo non si poneva Theodore P. Walther, un operaio di 33 anni, che la Domenica del 15 luglio 1946, mentre lavorava nel cantiere navale di Wilmington, come addetto alla discarica di una enorme cava di ghiaia, nello smaltire la spazzatura trovò il corpo di una donna, con indosso solo reggiseno, mutandine e scarpe; mentre al dito aveva un costoso anello di fidanzamento, uno di nozze e una collana. Sul posto arrivò la polizia. Il caso fu affidato al capitano J. Gordon Bowers del dipartimento dello sceriffo, che attraverso le impronte digitali, associate alle denunce di scomparsa, risalì al nome della sconosciuta: Gertrude Evelyn Landon, 36 anni, scomparsa dal suo domicilio, al 9635 di S. Hoover Street a Los Angeles, il mercoledì 10 luglio. Era questo un altro omicidio avvenuto qualche mese prima di quello di Elizabeth Short, e quindi dimenticato, fagocitato dall’attenzione, il clamore sollevati dal caso de La Dalia Nera. Per alcuni, entrambi gli omicidi, erano opera della stessa mano omicida. Il marito, Kenneth Landon, che era un operatore della stazione di servizio, venne subito eliminato dalla lista dei sospetti: di sicuro per quel giorno aveva un alibi attendibile. Riferì che la moglie, prima di uscire di casa, gli disse di dover spedire una lettera e quindi di non avervi più fatto ritorno. Subito decise di denunciarne la scomparsa alla polizia. La morte era avvenuta per strangolamento e non era stata violentata, ma il fatto che non fossero stati trovati i suoi vestiti, portò alla facile deduzione che il luogo in cui fu ritrovata non fosse la scena primaria del crimine: era stata uccisa da un’altra parte, e poi scaricata alla cava di ghiaia. Il movente non poteva essere la rapina, se aveva ancora indosso tutti i suoi gioielli, però la sua auto, una berlina di Plymouth del 1933, fu ritrovata il 18 luglio, all'angolo tra Menlo Street e Slauson Avenue, a sud dell'Exposition Park, nel sud di Los Angeles. Come Elizabeth Short, era stata uccisa da un’altra parte, e scaricata in un posto isolato; appunto non aveva subito violenza, mentre la Short venne torturata, violentata e bisecata. Gertrude aveva 36 anni quando fu uccisa, mentre Elizabeth ne aveva 22. Entrambe di carnagione bianca. Le frequentazioni e le velleità artistiche di Elizabeth Short probabilmente erano lontane da quelle di Gertrude, che era sposata con Kenneth Landon e conduceva una vita familiare. Mi chiedo che fine abbia mai fatto la sua lettera, se sia mai arrivata a destinazione. Forse era solo una scusa per incontrare qualcuno, il suo assassino, che l’aveva scaricata tra la spazzatura come se quello fosse il suo posto. Un uomo deluso dal suo comportamento poteva arrivare a tanto? Accecato dalla gelosia o solo mosso dal desiderio insano del piacere provato nell’ucciderla? Domande che non troveranno mai risposte, perché il suo caso, come quello di Elizabeth Short, Estelle Carey, Georgette Bauerdorf, Jeanne French, Rosenda Mondragon, Laura Trelstad, Louise Springer, Mimi Boomhower, Gladys Kern, Jean Spangler ed altre donne barbaramente uccise negli anni '40, quelli del dopoguerra, rimarranno delitti irrisolti. Ieri, come oggi, si è portati a pensare che la prima causa di una sparizione sia da ricercare nel nucleo familiare della vittima, quindi mariti, ex fidanzati, amanti. Alta però era la possibilità che molte di queste donne siano state adescate o aggredite da persone sconosciute o appena conosciute. Le strade erano piene di gente provata e cambiata dalla guerra fino al patologico. Le investigazioni sommarie, le presunte piste disilluse, insabbiamenti e corruzione, l’aumento dei delitti irrisolti e dei crimini perpetrati non faceva altro che riflettere l’incapacità delle forze dell’ordine e dei tribunali dell’epoca. Il metodo investigativo doveva ancora conformarsi alla nuova realtà creata dal dopoguerra. Erano anni in cui nascondersi fosse più facile di oggi che siamo spiati, monitorati a vista, schiavi della tecnologia, anche se questo non diminuisce la contemporaneità dei casi di omicidio. Possiamo  anche contare sul test del DNA, analisi autoptiche più dettagliate, strumentazioni all'avanguardia, profiler specializzati. La stampa dell’epoca sottolineò tale inefficacia, facendosi anche specchio della paura generalizzata, dovuta alla mancanza di un colpevole o più colpevoli mai acciuffati. Sono stati casi che hanno creato grosse speculazioni da parte di persone, che paventavano di conoscere la verità; basti guardare i crime story pubblicati su La Dalia Nera, dove le cospirazioni si sprecano nell’attesa che qualcuno parli, e invece… niente, il buio totale. Poi ci sono state le saghe dei gangster locali, che hanno letteralmente offuscato, distratto, carpito l’attenzione della giustizia, appunto impegnata nella risoluzione di altre spinose questioni… il crimine verrà dimenticato per un altro crimine, e tutto ricomincia. Ma chi poteva essere il suo assassino? Come ho scritto all’inizio, alcune letture affermano che Gertrude Evelyn Landon ed Elizabeth Short vennero uccise dalla stessa persona, ovvero: George Knowlton. E’ quanto sosterrà Janice Knowlton, intorno agli anni ’90. I ricordi, i particolari degli omicidi sarebbero affiorati grazie ad un percorso terapeutico, per il superamento di eventi traumatici legati alla sua infanzia, ma per questo considerati non attendibili ai fini investigativi. A questo farà seguito l’ennesimo libro sul caso, nel 1995, dal titolo “Daddy Was the Black Dahlia Killer”, scritto a due mani con Michael Newton, già attivo in molte inchieste a sfondo criminale. La tematica è prevedibile: il padre, George Knowlton, aveva una relazione con la Short, che aveva vissuto per un periodo con loro, stabilendosi nel garage, dove poi avrebbe abortito in grande sofferenza. Va fatta una precisazione: in realtà, la polizia di Los Angeles scoprì che la Short  non avesse mai lavorato come squillo, e dall’autopsia si evinse che fosse affetta da gravi malformazioni vaginali, quindi impossibilitata a procreare. Janice Knowlton rivelò di come fu costretta dal padre a rendersi complice dell’occultamento del cadavere della Short, e di averlo anche aiutato a scaricare il corpo di Gertrude Evelyn Landon nella cava di ghiaia a Rolling Hills Estates. Nelle sue dichiarazioni coinvolse anche persone come Edward Davis, futuro capo della polizia di Los Angeles, nonché futuro politico californiano, e Buron Fitts, procuratore distrettuale di Los Angeles, che riteneva essere coinvolti nell'omicidio; arrivando a questa conclusione dopo le indagini avviate nei confronti del padre, di cui venne a conoscenza attraverso una fonte: un ex-collaboratore dello sceriffo di Los Angeles. Non esiste però una prova o un documento ufficiale, che acclarino l’indagine avviata nei confronti del padre. Tutto si ridusse a un grosso polverone, che la portò ad essere molto conosciuta in spazi virtuali, dove si parlava del caso de La Dalia Nera. Accuserà e coinvolgerà tanti personaggi, ritenuti implicati nella vicenda, paventando in maniera ossessiva oggettive cospirazioni ed insabbiamenti. Janice Knowlton si suicidò nel 2004 con un'overdose di farmaci, che le vennero regolarmente prescritti. L'assassino di Gertrude Evelyn Landon non venne mai catturatato e il suo rimane un caso irrisolto.

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domenica 2 settembre 2018

Georgette Bauerdorf - un'ereditiera alla Mensa di Hollywood

Georgette Bauerdorf
Settembre 2, 2018   Maria Rosaria Cofano

Agli appassionati del caso de La Dalia Nera, non sarà sfuggito un nome, quello di Georgette Bauerdorf; anche lei barbaramente uccisa e con alcune apparenti similitudini riconducibili all’omicidio di Elizabeth Short, ma passata in secondo ordine rispetto al grande clamore investigativo, giornalistico, letterario suscitato dall’orribile delitto di quest’ultima. Entrambi rimangono casi irrisolti avvenuti a Los Angeles, nonostante sulla scena del crimine di Georgette siano state rinvenute diverse prove e impronte digitali;  ma procediamo con ordine. La Bauerdorf, nata il 6 maggio 1924 a New York, era la seconda figlia di George Bauerdorf, un petroliere di Elko, Nevada. Fu educata in un convento, prima di essere trasferita alla Westlake School for Girls, una scuola esclusiva in cui erano anche passati studenti divenuti famosi nel mondo dello spettacolo, come Myrna Loy e Shirley Temple. Anche lei, come Elizabeth Short, aveva velleità artistiche, le sarebbe piaciuto diventare un’attrice, così decise di trasferirsi a Hollywood, dove prese un appartamento di lusso in un elegante complesso di appartamenti chiamato El Palacio, di fronte a Fountain Avenue, un luogo che ospitava soprattutto inquilini di spicco dell’industria cinematografica. Nel suo stesso condominio viveva anche Virginia Weidler, attrice statunitense che aveva esordito da bambina, lavorando in almeno 40 pellicole, tra il 1931 e il 1943. Georgette lavorava per il Los Angeles Times, ma nel tempo libero si offrì volontaria alla Hollywood Canteen (la mensa di Hollywood), come hostess e ballerina. Era un ritrovo di Los Angeles, dove veniva offerto dell’intrattenimento ai militari, anche noto per le numerose stelle del cinema che vi passavano. Il giorno prima del suo omicidio, incassò un assegno di $ 175 e disse agli amici che avrebbe preso un aereo per raggiungere il suo fidanzato soldato a El Paso, in Texas. Le autorità di Fort Bliss identificarono l’uomo che la ragazza avrebbe dovuto incontrare il giorno prima della sua morte, si chiamava Jerome M. Brown, ed era un tirocinante di artiglieria antiaerea di Chicago. Lui sostenne di averla incontrata alla Hollywood Canteen, il 13 giugno, per poi lasciare la California dopo pochi giorni e quindi fare ritorno a El Paso. Quanto affermato dal ragazzo trovò corrispondenza; mostrò anche le sei lettere ricevute da Georgette e dimostrò di trovarsi a Camp Callan, in California, quando la ragazza fu uccisa. La mattina del 12 ottobre 1944, Georgette pranzò con la signora Rose L. Gilbert, una segretaria di suo padre. Poi acquistarono qualcosa in alcuni negozi e la Gilbert riferì alle autorità che quel giorno la Bauerdorf fosse felice. Verso le 23.30 circa, lasciò la Hollywood Canteen e nell’arco delle tre ore successive venne uccisa. C’è chi sostenga che a fare la macabra scoperta sia stata la moglie del direttore ed altri che invece sia stato il personale addetto alle camere. Il mattino seguente la porta risultava completamente aperta. La ragazza era in bagno, seminuda, precisamente nella vasca, a faccia in giù, con indosso solo la parte superiore del pigiama. Una quantità esigua di acqua calda continuava ad uscire dal rubinetto e la vasca ne era quasi del tutto satura. Alta era la possibilità che l’assassino la stesse aspettando: nell’ingresso esterno alla camera, una luce posta a due metri dal pavimento era stata svitata. A quell’altezza, l’assassino, poteva arrivarci con l’ausilio di una sedia o se fosse stato di statura molto alta. Proprio sulla lampadina vennero trovate delle impronte digitali.

“Whoever it was had set the stage for this horrible crime and was lying in wait for her,” said Sheriff’s Inspector, William J Penprase.

Era stata brutalmente picchiata. Il suo corpo si presentava pieno di lividi dalla testa all’addome, e la presa del suo carnefice era stata talmente forte che molte impronte digitali le rimasero addosso. Lei aveva lottato; si era difesa per evitare di essere uccisa, ma lui non demorse, violentandola e strangolandola fino alla morte. Presentava anche un panno pulito inserito a forza in bocca, di certo per evitare che la ragazza gridasse. Lei avrà chiesto pietà, ma lui non ne aveva e non sapeva che i pavimenti e le pareti degli appartamenti di quel complesso fossero insonorizzati. Chi era quell’uomo? Aveva per caso la chiave dell’appartamento? Forse la spiava da tempo?

sabato 25 agosto 2018

Estelle Evelyn Carey: la ragazza dei dadi.

Agosto 25, 2018   Maria Rosaria Cofano

Estelle Evelyn Carey
Sembrava un pomeriggio come tanti quel 2 Febbraio 1943. In un cortile a Lakeview al 512 W, alcuni inquilini avvertirono un forte odore di fumo proveniente dal terzo piano, dove vivevano  Estelle Evelyn Carey e Maxine Buturff. La sua coinquilina era partita alle 8:00 del mattino. Intorno all’1:00 Carey conversava al telefono con suo cugino, quando sentì il campanello suonare e il cane abbaiare, dicendo al cugino che avrebbe dovuto riattaccare, e che avrebbe potuto richiamarla dopo un’ora; cosa che il cugino fece intorno alle alle 14:30, ma non ebbe risposta. Lei aprì la porta, fece entrare l’assassino o l’assassina. Il tempo di preparare due tazze, versare del cacao in polvere e del latte caldo in una tazza... che venne aggredita. I vigili del fuoco, dopo aver forzato la porta, si trovarono di fronte a uno scenario agghiacciante: il cadavere di  Estelle Carey, orribilmente mutilato. Qualcuno aveva infierito senza pietà sul suo bellissimo volto, schiacciandole il naso, probabilmente con un mattarello; poi le aveva strappato i capelli, sfondato il cranio con un bastone e tagliato la gola con un coltello seghettato, per poi darle fuoco dopo averla cosparsa di liquido infiammabile. Nel vedere le sue gambe prendere fuoco, la ragazza dopo il pestaggio tentò di scappare, e accasciandosi in terra rimase bruciata a metà. Fu una morte davvero atroce. Di certo conosceva il suo assassino. Lo aveva lasciato entrare nell’appartamento, oppure le aveva puntato una pistola?  Perché questa ragazza fu uccisa in maniera così violenta? Purtroppo non lo sapremo mai, perché il suo rimane un caso irrisolto. Ma chi era Estelle Evelyn Carey? Era nata nel 1909 nel lato nord-ovest di Chicago. Aveva sofferto la povertà. Il padre morì quando aveva 6 anni e la madre, proprio a causa di problemi economici, la mandò in orfanotrofio, dove rimase fino al 1916; dopo essersi risposata, andò a riprenderla e la ragazza acquisì il cognome del patrigno, appunto “Carey“. Frequentare la scuola Harriet Beecher Stowe a Humboldt Park non le piaceva, così iniziò a lavorare in una fabbrica tessile. La sua bellezza ed eleganza le permisero anche di lavorare come modella. Fu anche operatore telefonico, cameriera in un ristorante del Northside e proprio quest’ultimo lavoro le fu, probabilmente, fatale, perché conobbe  Nicholas Deani Circella, anche noto come Nick Circella o Nick Dean (come preferiva essere chiamato). Circella, risiedeva negli Stati Uniti dal 1909 e negli anni ’30 era il proprietario di un locale, che aveva correlazione con l'Outfit, ovvero un insieme di criminali che avevano ereditato e portavano avanti l’organizzazione di Al Capone. Oltre ad essere stato socio di Al Capone, fu anche uno dei tirapiedi di William "Willie" M. Bioff, ex capo della Motion Picture Operators 'Union. Quando il Circella conobbe Carey ne rimase favorevolmente colpito e decise di farla lavorare al suo Club, ovvero al The Colony di Chicago, al 744 di N. Rush Street, come "la ragazza dei dadi" e dove si era specializzata nel gioco del 26. Carey era particolarmente abile nel cambiare i dadi con dadi nascosti e ad invogliare i clienti facoltosi, che provavano i giochi legali e a basso costo al primo piano, a passare a quelli più costosi al secondo piano del Club.  

 

venerdì 10 agosto 2018

IL KILLER DEL ROSSETTO (The Lipstick Killer) - prima parte

Il messaggio scritto con il rossetto e William George Heirens

Agosto 10, 2018   Maria Rosaria Cofano

Alcuni serial killer scelgono il loro soprannome, altri subiscono quello che gli danno gli eventi e alcuni aspettano di essere fermati. Probabilmente come accadde a William George Heirens, assassino seriale statunitense, meglio conosciuto come il Killer del Rossetto (The Lipstick Killer), per aver lasciato sulla scena del crimine un messaggio scritto con il rossetto: 

"Per amor di Dio fermatemi prima che possa uccidere ancora. Non posso controllarmi." 

Nel 1946 ha confessato tre delitti. Era nato a Evanston, il 15 novembre 1928, da George e Margaret Heirens. La sua era una famiglia disfunzionale. I suoi nonni paterni erano immigrati lussemburghesi. Aveva vissuto sulla propria pelle la povertà ma anche la criminalità. I suoi genitori litigavano in continuazione e spesso per evitare di ascoltarli, andava a girovagare per il quartiere, dove, per scacciare la noia aveva cominciato a rubare. Preferiva non vendere la refurtiva e così molta, comprese le armi - quando venne arrestato all’età di 13 anni - vennero ritrovate sul tetto di un edificio nel quartiere, in un capannone abbandonato. Visse a Lincolwood ed è morto a Chicago, per complicazione causate dal diabete, il 5 marzo 2012, dopo 65 anni di reclusione nel Dixon Correctional Centre. In effetti lui ritrattò gli omicidi, adducendo di essere stato indotto con coercizione e minacce a confessarli. A leggere la biografia degli assassini seriali, salta all’occhio come spesso siano accomunati da presenze genitoriali già disturbate di loro. Da ragazzino aveva visto due giovani fare l’amore e decise di raccontarlo alla madre, che manifestò il suo disprezzo nei confronti della sessualità, considerata come qualcosa di immorale, sporco, soprattutto in considerazione delle possibili malattie trasmissibili. Le frustrazioni sessuali della madre condizionarono psicologicamente l’approccio con la sua fidanzata, coetanea: dopo averla baciata, le vomitò addosso e scoppiò a piangere. Si sentiva più sicuro a maneggiare armi da fuoco, infatti all’età di tredici anni gliene trovarono diverse in casa, servite – per sua stessa ammissione – per alcuni furti. Gli diedero alcuni mesi di riformatorio da trascorrere alla Gibault School. Uscito dal riformatorio, non perse tempo, di nuovo venne arrestato per furto con scasso. Lui parlerà di noia, del fatto che compiere reati gli fosse utile per allentare la tensione. In questo caso la condanna gli imponeva di frequentare  la St. Beda Academy diretta dai monaci Benedettini. Stranamente in tale frequentazione scolastica, seppur forzata, si dimostrò un ottimo studente e questo ottimo risultato gli permise di essere rilasciato all’età di 16 anni e l'ammissione alla University of Chicago, dove si iscrisse alla facoltà di Elettronica, ma senza perdere di vista il piacere che il furto gli procurasse. La sua follia omicida è balzata alla cronaca dopo l’uccisione di due donne: Josephine Ross e Frances Brown, nel 1945. 

Josephine Ross (a sinistra) e sua figlia
Il primo omicidio fu quello di Josephine Ross, avvenuto 5 giugno del 1945. La donna aveva 43 anni. Fu ritrovata senza vita nel suo appartamento al 4108 di North Kenmore Avenue. Presentava numerose pugnalate sparse per tutto il corpo, che si presentava privo della testa, poi ritrovata avvolta in un suo vestito. Tra le mani stringeva un ciuffo di capelli scuri; era evidente che si fosse difesa. Non era stata derubata, nell’abitazione non mancava niente. Le persone che vennero ascoltate, tra conoscenti, fidanzato, ex marito, avevano tutti un alibi attendibile. Rimase solo la descrizione sommaria di un uomo dalla carnagione oscura, visto aggirarsi e scappare nei dintorni della casa della vittima. 


Frances Brown
Il secondo omicidio avvenne il 20 dicembre 1945, la donna si chiamava Frances Brown. Anche lei fu ritrovata senza vita nel suo appartamento al 3941 di Pine Grove. Presentava numerose pugnalate. In entrambi i casi, la polizia pensò che le donne avessero sorpreso in casa l’assassino intento a rubare e che poi questi le avesse uccise; in realtà negli appartamenti nulla venne trafugato, quindi con tutta probabilità il suo intento primario era uccidere. In questo omicidio, su una parete, l’assassino scrisse con il rossetto la frase già sopraccitata: "Per amor di Dio fermatemi prima che possa uccidere ancora. Non posso controllarmi". Lasciò anche un’impronta insanguinata, all’ingresso, sullo stipite della porta. Ci fu anche un testimone oculare, George Weinberg, che affermò di aver udito degli spari alle 4 del mattino; mentre il portinaio, John Derick, disse di aver visto in quella notte un uomo sui 35-40 anni, uscire dall’ascensore e dirigersi verso l’uscita principale. L’idea che in giro ci fosse u criminale a piede libero, dedito ad ammazzare donne nel proprio appartamento per poi firmare il tutto con il loro rossetto, seminò il panico a Chicago. Il dipartimento di polizia iniziò ad investigare su uccisioni e sparizioni di donne rimaste irrisolte. 

Susanne Degnan
Il 7 gennaio del 1946 scomparve una bambina di sei anni, Susanne Degnan, mentre si trovava al 5943 di North Kenmore Ave. I genitori ne denunciarono la scomparsa. Venne perquisita la casa dei genitori, e gli agenti trovarono una scala appoggiata alla finestra della stanza della bambina e un messaggio di riscatto: il rapitore chiedeva 20000 dollari in banconote di piccolo taglio con il divieto di rivolgersi alle polizia; nella parte posteriore del biglietto pretendeva che i genitori distruggessero il biglietto dopo averlo letto, se volevano rivedere la bambina in vita. Il messaggio era stato scritto con annotazioni di tipo musicale, così gli agenti pensarono che il rapitore potesse essere un musicista. Seguirono chiamate telefoniche da parte del rapitore, probabilmente anche da parte di mitomani o approfittatori, ma non abbastanza rilevanti per dedurne la provenienza. Nell'ambito di tal merito, venne indagato un ragazzo della zona, Theodore Campbell, il quale affermò di aver agito con la complicità di un amico, Vincent Costello; quest’ultimo gli aveva confessato di aver ucciso la bambina, dunque le telefonate anonime e la richiesta del riscatto. Costello abitava vicino all’abitazione dei Degnan, frequentava la scuola pubblica, e già all’età di sedici anni aveva scontato una pena in riformatorio per rapina. Entrambi vennero sottoposti al test poligrafico, con la conclusione che non fossero a conoscenza di alcuni particolari dell’omicidio che solo il vero killer avrebbe potuto conoscere. Da loro erano partite sì le telefonate anonime, ma solo dopo aver ascoltato alcuni poliziotti per strada parlare dell’omicidio. La prima cosa che si dovrebbe fare, quando sparisce un bambino, è indagare in famiglia e poi allargare la visione ai vicini e conoscenti, perché la mela non cade mai troppo lontano dall’albero. La storia del crimine insegna che in caso di rapimento, le prime 24 ore siano determinanti per la sua risoluzione. Pensare che qualcuno possa prendere una scala ed entrare nella stanza di mia figlia, portarsela via… è aberrante. La stessa indignazione mi arriva quando vedo genitori lasciare indietro i propri figli per il solito capriccio di turno; o lasciarli liberi di scorazzare per le strade quando ancora non arrivano al tavolo. Il mondo è crudele, non bisogna mai perdere di vista quanto lo sia. Ma torniamo alla storia di Susanne. Dalle indagini venne fuori che il signor Degnan fosse un dirigente della OPA, un organo statale con il compito di controllare i prezzi dei beni alimentari e la difesa dei diritti dei consumatori. In quel periodo l’OPA stava controllando e limitando la distribuzione dei prodotti caseari, ed era anche in atto uno sciopero degli operai addetti all’imballaggio della carne. Altri funzionari avevano ricevuto minacce e si pensò che questa ritorsione – il rapimento della bambina – non fosse altro che frutto del malcontento di qualche operaio probabilmente addetto all’imballaggio; ad avvalorare questa pista anche la morte per decapitazione di un uomo impelagato nel traffico di alimenti. Le indagini erano allo stallo, quando alla polizia arrivò una telefonata anonima, che diceva di cercare lungo la rete fognaria vicino all’abitazione dei Degnan. Non mi soffermerò su cosa e dove siano state ritrovate le membra della bambina, ormai è storia nota - al male non ci si dovrebbe mai abituare! -, comunque tutte  erano state sparpagliate a circa un isolato di distanza l’uno dall’altra, mentre le braccia vennero ritrovate dopo circa un mese vicino alla rete fognaria a ridosso della ferrovia Red Line di Chicago. Iniziarono le perquisizioni  in tutti gli edifici circostanti, compresa una lavanderia interna ad un condominio, vicino al luogo del ritrovamento della testa. Il luogo era stato ripulito, ma alcune tracce ematiche non lasciarono dubbi, e portarono alla conclusione che quello fosse il luogo dove l’assassino decise di smembrare la bambina, definito per l’appunto "la stanza del delitto". Secondo l’analisi autoptica, la bambina doveva essere ancora viva subito dopo il rapimento. Venne uccisa in un luogo sconosciuto e poi portata nella lavanderia.

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lunedì 6 agosto 2018

Elizabeth Ann Short - La Dalia Nera (Black Dahlia)

Agosto 6, 2018   Maria Rosaria Cofano

Elizabeth Ann Short, meglio conosciuta come La Dalia Nera, è la vittima di un caso di omicidio tra i più efferati, cruenti, misteriosi di tutta la storia del crimine, rimasto  irrisolto e avvenuto negli Stati Uniti d'America. Solo il suo nome a tanti non direbbe niente, mentre il suo altergo ha dato vita ad un copioso contributo narrativo, cinematografico, morbosamente saturo degli eventi che l'hanno portata fino all'attuazione del delitto irrisolvibile. Avvenuto per mano di chi? Tra presunti conoscenti, amanti, illazioni, deduzioni approssimative, mitomani, polizia corrotta, insabbiamenti, la competizione sfrenata dell'industria cinematografica tra sesso e potere, velleità artistiche disilluse, segreti inconfessabili dell'alta società... Lei era un'avvenente, giovane e bella ragazza, dai capelli bruni e occhi chiari. Nacque a Hyde Park, un quartiere della città di Boston che lasciò quando era una bambina, per trasferirsi a Medford (Massachusetts) insieme alla madre e alle sorelle dopo l’abbandono del padre. Soffriva di asma. I suoi amici la chiamavano Betty, ma lei preferiva essere chiamata Beth. Studiare non le piaceva, così iniziò a lavorare come cameriera. All’età di 19 anni lasciò la casa materna per andare ad abitare con il padre in California, e poi si trasferirono a Los Angeles. Anche con lui non andava d’accordo e dopo l’ennesimo litigio, Elizabeth lascio la casa paterna e trovò lavoro a Camp Cooke, in California, in un ufficio postale. Si trasferirà a Santa Barbara dove nel 1943 verrà fermata da polizia e arrestata per ebbrezza. Per la legge del tempo era ancora minorenne e le autorità la riportarono a casa della madre, a Medford. Trovò lavoro presso l’Università di Harvard, ma poi si trasferì in Florida. L’incontro con il maggiore dell'Aeronautica statunitense Matthew M. Gordon Jr sarebbe convolato a nozze, ma Gordon morì il 10 agosto 1945 in un incidente aereo. Lasciò la Florida, torno in California dove rivide Gordon Fickling, un suo ex, luogotenente di stanza a Long Beach. Qui, per la prima volta, le fu dato il soprannome di Dalia Nera, per la sua passione per il film La dalia azzurra e per gli abiti neri che amava indossare. Un anno dopo, nel 1946, si trasferì da Hollywood con le solite velleità cinematografiche, per poi ritrovarsi su set di film pornografici, illegali negli USA. Era ancora viva il 9 gennaio 1947 nel salone del Biltmore Hotel di Los Angeles e alcuni affermarono che fosse in compagnia di un uomo. Il 15 gennaio del 1947, intorno alle 10 del mattino, in un quartiere meridionale di Los Angeles, il Leimert Park, c’era un terreno non edificato sul lato ovest del South Norton Avenue, tra Coliseum Street e la West 39th Street, lì venne ritrovato il corpo di Elizabeth. Una signora di nome Betty Bersinger era a spasso con il suo cane e di primo acchito pensava trattarsi di un manichino, ma poi realizzò che fosse il corpo di una donna, mutilata orribilmente. Il corpo si presentata nudo e diviso in due parti, dalla vita in giù. Era stata torturata e le avevano tinto di rosso i capelli. In volto aveva un profondo taglio che partiva da un orecchio per finire all’altro, secondo una mutilazione denominata Glasgow smile. Non c’erano tracce di sangue. Era stata accuratamente lavata, dunque quella non era la scena primaria del crimine. Numerose furono le indagini condotte dalla Polizia di Los Angeles ma anche altri dipartimenti, agenti, investigatori si interessarono a questo crimine efferato, che ancora non ha trovato risoluzione. Tanti sospettati (almeno 22 quelli considerati fattibili), tanti interrogatori. Grandissima risonanza, vuoi da parte dell’opinione pubblica che dalla stampa. C’è da dire che le indagini furono svolte in maniera approssimativa: non furono rilevate impronte di scarpe e neanche le impronte dei pneumatici della macchina che arrivò in quel posto per disfarsi del corpo. La comparazione di questi con i pneumatici dei sospettati avrebbe potuto chiudere il cerchio, invece si assistette alla solita trafila di accusati e mitomani; ce ne furono almeno 60, con la volontà di addossarsene la responsabilità e soprattutto di sesso maschile. Ecco alcuni nomi. L'ultima persona ad aver visto Elizabeth, quando era ancora in vita, fu Robert M. Manley che tanti chiamavano Red. Subito in cima alla lista dei sospettati, ma il suo alibi lo scagionò. Poi fu la volta di Walter Alonzo Bayley, un chirurgo di Los Angeles, impelagato in un giro di aborti clandestini, che coinvolgeva nomi molto conosciuti della Hollywood del tempo. E’ stato anche vicino di casa di Elizabeth e padre di una delle più care amiche di Virginia, sorella della Short. Basta tutto questo per ritenere un uomo colpevole di un esecrabile omicidio?...


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mercoledì 25 luglio 2018

IL KILLER DELLO ZODIACO

Luglio 25, 2018   Maria Rosaria Cofano

Riuscire a stanare un Killer talmente furbo da non lasciare in giro tracce di sé, diventa un’impresa attuabile solo da pochi. Nel margine delle supposizioni assimilabili sono rimaste imbrigliate solo suggestioni e analogie indigeste, perché Zodiac è stato e rimarrà un cruento mistero. L’inacciuffabile, l’indecifrabile, capace di beffare enigmisti della domenica e cervelli sopraffini. Un genio con una crudeltà senza limiti, che ha travalicato la storia, quella più spietata e nera, di cui non vorremmo mai leggere, figuriamoci trovare sulla nostra strada. Un mostro che si è sentito invincibile e che si è reso immortale con la paura, quella paura che non ha mai provato. E allora che cosa c’entrava un killer scientifico di questo genere con i laidi scapestrati compagni di merende del caso denominato “il Mostro di Firenze”? Sia Zodiac che il Mostro di Firenze avevano come metodo di uccisione l’arma da fuoco e l’accoltellamento. Zodiac era veloce, pianificava tutto, avendo anche il tempo di fuggire, beffando l’arrivo della polizia. Aveva instaurato un sorta di rapporto epistolare con alcuni quotidiani dell’epoca, mentre il Mostro di Firenze non aveva questo bisogno impellente, se non per aver scritto una sola volta, quando, Martedi 10 settembre 1985, alla procura fiorentina arrivò una lettera contenente un lembo di pelle incellophanata e indirizzata all’ex sostituto-procuratore Silvia Della Monica. C’era una componente sadica che non aveva contraddistinto i crimini di Zodiac. Il Mostro di Firenze rimaneva più a lungo con le vittime, infierendo con mutilazioni sessuali. C’è da dire che uno schema criminale possa anche evolvere. 

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domenica 22 luglio 2018

UNA MOTIVAZIONE SENZA L'ALIBI DELLA SCRITTURA

Luglio 22, 2018   Maria Rosaria Cofano
 
… quando ho iniziato a scrivere "PROGENIE DEGENERE", ero ancora su un altro romanzo (che poi ho pubblicato con la Bastogi, dal titolo "NORA DAREN – il Corpo, il suo Supplizio"), e l’ho vissuto, subìto, come una sorta di flaschback; dunque la brevità frammentata del racconto e l’incognita del senso. Ho sempre avuto una predilezione per i racconti atemporali, di quelli capaci di raccontare più l’emozione di uno spazio. La mia scrittura non è indubbiamente facile. Amo scrivere e lo faccio quasi in maniera animalesca. Non ho paura della verità, tantomeno di raccontarla. Sono cresciuta con letture di autori datati e direi quasi per niente contemporanei, per poi smettere di leggere, quando la scrittura dentro di me premeva, affinché le dessi forma. Mi rendo conto che tutto non possa piacerci completamente e preferisco quello che non mi piace, quanto sia diverso da me e paradossalmente nella scrittura trovarlo affine.

sabato 23 giugno 2018

FANTASMI, NON E' LUI



Giugno 23, 2018   Maria Rosaria Cofano

Bisogna scattare tante foto, anche quando la persona pensa di non essere fotografata. Carpire il senso di una persona, non potrà mai essere legato a una metodica. Il genere di foto che fai, quello vincolato alle cerimonie, agli eventi, dove tutto è organizzato ad hoc, per un risultato che galvanizzi il bello e l'usuale, è un tipo di fotografia che considero fine a se stessa [...] ma se ti muovi in un campo fatto di espressività, naturalezza, patos, allora devi andare ad investigare tra gli umili, il brutto, l'inaccettabile... quella fotografia rende altissimo il livello. Non sto biasimando il tuo occhio, ma per come io intenda la fotografia: meno artificio e costruzione ci sia dietro uno scatto, tanto più ne guadagna lo spessore fotografico in termini di significato. Lo so che tutta la fotografia oggi sia corretta, modificata, però quella che mi colpisce è quella che abbia in sé una morale fino ad insidiarla, per un messaggio, anche per quanto inaccettabile possa apparire. Tu dovresti avere in tasca sempre una piccola macchina fotografica... e comunque non rallentare per nessuno. Non smettere mai di cercare e osare. Ora stai scrutando un campo, dove diventerai sempre più consapevole di quello che vuoi vedere e fermare. La tua fotografia evolverà. Cercherai altri sensi, altre condizioni... e chissà tra una diecina di anni, guardando le tue prime foto, il tuo bagaglio iniziale, come saranno gli ultimi scatti, se ancora sarai capace di leggere un'emozione come la prima volta.

  • Fotografia di  Eikoh Hosoe

I miei romanzi:

PROGENIE DEGENERE - L'origine del male

NORA DAREN - Il Corpo, il suo Supplizio

 


venerdì 25 maggio 2018

L'UOMO FA PAURA

Quante ne abbiamo combinate amico mio! Quante risate! Bisogna trovare il tempo per sorridere alla vita, anche quando ti alzi col torcicollo come me stamattina... poi guardi dalla finestra, la giornata è bella, promette bene. Tu vorresti rallentare, perderti nella natura, in qualcosa che diamo per scontato, pensando che sia lì, perfetta ad aspettarci per sempre. Niente di più sbagliato! In un tempo sempre più piccolo di un giorno qualunque, il potente nella stanza dei bottoni si alza a deturpare quello che è già di per sé perfetto. Il Creatore ha mandato il Figlio, il Figlio si è fatto uomo e l'uomo fa paura.


sabato 17 febbraio 2018

FUORI DAL TEMPO E DALLO SPAZIO

Francamente ritengo che tu faccia un uso improprio dell'utilità se misurato in base alla distanza, anche perché è il tuo concetto di utilità, un metro a cui avresti dato un senso di utilità se solo avessi acconsentito a darti quello che chiedi. La citazione dell'uomo ridotto ad automatismo o macchina come dir si voglia, è affine a queste strumentazioni e le loro risultanti, là dove tutto si riduca a copiose icone. I pensieri non hanno sempre bisogno di essere figurati, come i sentimenti non hanno sempre bisogno di gratificazioni visive. Un vero sentimento lo è a prescindere. La velocità con la quale si bruci tutto nel reale, ha menomato l'immaginazione e reso l'uomo una macchina. Ci sono libri meravigliosi costruiti su corrispondenze epistolari di affinità, che si sono rincorse, cercate a prescindere da una fotografia, distanza e concetti astrusi di utilità. Certo bisogna viversi, conoscersi e questo appartiene allo stato reale, all'abusato termine quotidiano: se quello che abbiamo sentito si ridurrà a mera meccanica, allora non abbiamo sentito niente. Semplice! Il nichilismo... hai ragione, con questo non c'entra.

CORREZIONE GRAMMATICALE E SINTATTICA. EDITING...

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